Come
senz’altro avete scoperto in questi anni di blog sono un po’ restio nel postare
album di artisti italiani (specie se recenti) ben sapendo la loro difficoltà
nell’inciderli ed in primis a comprare gli strumenti ed a formare una band.
Inoltre la musica progressiva e/o sperimetale e/o il rock-jazz sono di certo di
nicchia e a memoria mia gli ultimi lp del genere entrati nella hit parade
risalgono agli anni ’70 (credo siano Selling England e The Dark Side e per
quanto riguarda l’Italia la PFM e Le Orme). Di solito poi non mi capacito sul
fatto che alcuni (troppi!) nuovi artisti scelgono la lingua inglese
banalizzando ed uniformando pertanto il loro lavoro. Non credo che così facendo
gli si aprono nuovi orizzonti di vendita (penso tutt’altro!) anche perché di
nuovo, dopo i grandi gruppi degli anni ’70, ritengo che ci sia poco o nulla da
inventare e usare vivaddio l’italiano li renderebbe forse un po’ più originali.
Veniamo
ora al post odierno che riguarda la band italica degli Armonite che a quanto ne
so fecero un unico album nel 2000 (14 anni fa! Tempo giusto per poterli postare)
intitolato Inuit. Qui, quasi del tutto assente la voce, hanno per fortuna
usato la lingua di Dante ove era necessario (in alcuni titoli) e cosa
importante, forse anche grazie all’uso degli archi ed a un rimando alla musica
classica, il sound che ne scaturisce fa subito pensare al Bel Paese anche se i
Genesis a volte sono lì dietro l’angolo. Bravi!
Voto:
+ + + +
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